Reggio Emilia e il modello di collaborazione permanente con i cittadini

La partecipazione ormai è pane quotidiano per le amministrazioni e dove più dove meno, fioccano le esperienze di ascolto e coinvolgimento dei cittadini nelle agende delle città italiane. Con quale efficacia? Non sempre è dato saperlo e soprattutto, non sempre è scontato che le città si dotino di metodologie, cioè di step precisi uno propedeutico all’altro, per sviluppare un modello partecipativo coerente che sia anche valutato nella sua validità. È il caso del modello di partecipazione di Reggio Emilia che abbiamo ascoltato direttamente dal suo Assessore alla Partecipazione Lanfranco De Franco. 

Assessore De Franco, da dove siete partiti per sviluppare il modello di partecipazione urbana di Reggio Emilia?

Siamo partiti dall’abolizione delle circoscrizioni e da una esperienza iniziale sui temi della cittadinanza attiva sulle “greenway” reggiane, legata a percorsi escursionistici e ai torrenti cittadini. Da qui, sette anni fa, abbiamo dato vita al progetto Quartiere Bene Comune. 

Ci racconta di cosa si tratta?

Quartiere bene comune è una politica pubblica che ha l’obiettivo di costruire una città collaborativa con un modello di governance allargata per la gestione dei beni comuni urbani. L’idea è riscrivere le regole della collaborazione tra società e governo dell’interesse generale, rendendo protagonisti e responsabilizzando tutti i soggetti che compongono la comunità e si identificano in essa. Quartiere bene comune realizza, nei quartieri della città, processi di co-definizione e co-gestione, con cittadini, associazioni o altri soggetti interessati (secondo il metodo della quintuplica elica), di soluzioni innovative che migliorano la vita della comunità o la qualità dell’ambiente urbano e del territorio. 

Come funziona questo processo?

Abbiamo messo in atto un protocollo metodologico codificato che consente di attivare processi di collaborazione in cui tutti gli attori che partecipano diventano responsabili di tutte le fasi del ciclo di vita del progetto di miglioramento: si parte con i laboratori di cittadinanza, momenti laboratoriali, quartiere per quartiere, in cui attraverso l’ascolto si individuano delle soluzioni ai problemi e si progettano nuovi servizi. Dopo questa fase di progettazione e di costruzione condivisa delle soluzioni, si passa all’accordo di cittadinanza che formalizza gli impegni condivisi, i reciproci impegni e le attività che sono alla base dei progetti. La fase successiva è la valutazione partecipata attraverso metodologie quantitative (gli indicatori) e qualitative (anche tramite interviste o focus group) che ci fa capire cosa funziona e cosa si può migliorare delle attività in corso per arrivare ad una nuova progettazione.

Al centro di questo percorso c’è una nuova figura professionale che è simile a quella delle nostre animatrici territoriali. A Reggio Emilia si chiama architetto di quartiere. Che cosa fa esattamente un architetto di quartiere?

L’architetto di quartiere è un referente dell’Amministrazione che ascolta i bisogni del territorio, raccoglie le istanze, costruisce le reti quartiere per quartiere, progetta eventi, attività e servizi, per migliorare la qualità urbana.

Che tipi di progetti sono nati da questa metodologia di partecipazione?

Sono nati tantissimi progetti, tutti calati sulla realtà dei singoli quartieri: dal progetto della connettività wi-fi di comunità che ha vinto anche un premio a livello europeo, a progetti di prossimità che si sono rivelati preziosi nel periodo del Covid; dall’offerta di attività pomeridiane per bambini e ragazzi all’inclusioni dei cittadini stranieri. Primario è il tema dell’ambiente e della fruibilità dello spazio pubblico, soprattutto in bici o a piedi che ha dato vita a progettualità per il potenziamento dei percorsi verdi, la fruizione dei parchi, le passeggiate come momenti di socializzazione e valorizzazione del paesaggio e di chi lo abita come le aziende agricole e i produttori locali.

Cosa vi aspetta in futuro per continuare su questa strada collaborativa?

La novità principale a cui stiamo lavorando è il riuso degli spazi inutilizzati, immobili storici e spazi verdi con delle cordate di autogestione. Un altro obiettivo è completare l’evoluzione di tutti i centri sociali della città (27) in case di quartiere che attualmente sono 11. In futuro contiamo di migliorare ancora di più la parte di co-programmazione con la comunità. Al momento programmiamo insieme alle realtà e alle organizzazioni che poi realizzano i progetti, vorremmo invece avere sempre più cittadini che partecipano anche alla fase di programmazione in qualità di rappresentanti dei bisogni espressi dal quartiere. Più parteciperanno, più i progetti potranno rispondere ai loro bisogni.

di Serena Mingolla